Chiedi alla polvere
Cinque ore nel non-luogo, lunghe. Mal di testa che batte e ribatte tra nuca e tempie per poi rimbalzare ossessivo nel bulbo oculare. Stronzissimo mal di testa. E le cinque ore che finiscono alle due e vai a casa, MA, per la congiunzione astrale lo sfavorevole allineamento - oggi proprio oggi - dei pianeti, e ora c'è da liberare quel casino del tuo garage, che vengono a portare via cose e lasciarne altre, quegli omini. Eccomi. Come un supereroe sgarruffato estraggo la bustina dell’okitask, che lo so che fa male allo stomaco ma la mia testa dice: non credere a tutto quello che ti dicono, fallo e basta. Così butto tutto sotto lingua (che sia più efficace?) e guardo l’ora per verificare che sia davvero effetto rapido. Gli omini furgonati sono più veloci del mio ketoprofene a rapido assorbimento e io scivolo verso lo Stige, là sotto. Un momento di sconforto. Comprendere in un nanosecondo il motivo per cui quella basculante rimane sempre chiusa, e domandarsi perché, perché, perché? davanti a scatole enormi di cui ignoro il contenuto e che giacciono qui, silenti e pesanti, dall'ultimo trasloco del 2008. Le risposte giungono e hanno forme alquanto discutibili e sconcertanti di certe paia di scarpe nascoste come scheletri in un armadio da ristrutturare e privo di anta. Sono spietati quegli scheletri che ghignano, i movimenti si fanno sempre più svelti e scaltri: via via tutto, che non rimanga traccia di quel torbido passato fuori-moda (peccato che i sacchi per la racconta differenziata “secco” siano impietosamente trasparenti)