“To fathom Hell or soar angelic
Just take a pinch of psychedelic”.
Ti chini appena in avanti a raccogliere il flacone scivolato via chissà come dalle mani. La strada, attenta alla strada. Non correre, è tardi, fai presto, ti aspetto, è festa, che bello!
Rialzi lo sguardo verso la strada. Orologio. Specchietto. Strada. Flacone. Eat me - drink me. Pillola blu o pillola rossa? Troppo distratta lungo il tragitto, sviti il tappo e fai cadere qualche pillola sul palmo della mano. Chissà qual era il colore giusto.
Rosso, semaforo rosso. Ferma. Orologio. Specchietto. Strada. Flacone. La capsula scivola via veloce e la frase che si rinnova a intermittenza nella mente batte sulle tempie e in mezzo al petto: vegliate fanciulle, che non vi è dato sapere né il giorno né l’ora ma voi attendete fiduciose al varco, vergini in trepidante attesa che lo sposo giunga a voi, e riempite le vostre lampade di oli profumati, suvvia, e incensate generosamente le stanze sulle note ossessive provenienti dall'emisfero australe.
Una voce, oh! diletto. Corri, fai presto. La strada, attenta alla strada, è tardi, non correre, ti aspetto, è festa, che bello! Veloce come le vergini che s’affollano alla finestra - quella voce! - è buio là fuori, le spalle si stagliano contro una luce che scivola via complice e la sua sagoma riempie la scena. Oh!
Eccolo il re. Giunge silente come un respiro a lungo trattenuto che, senza preavviso, fa spalancare la bocca a prendere ossigeno quanto più possibile.
Per un attimo non succede niente. Gli angoli della sua bocca si tendono scoprendo una fessura in quella massa ordinata di denti sfolgoranti. Il sorriso schizza fuori dalla scena come un bottone di una gonna troppo stretta e quello sguardo che sai ti abbaglia e ti investe quando ancora sei lontana ed ecco che prende forma e meraviglia e scivola tra le pieghe degli abiti e dei disegni sparsi sulla pelle. Affondi il viso e ri-perdi fiato e mangiami! e bevimi! Le guance scoperte si fanno rosso vivo e pure tu sei rossa e-v-viva!
(sempre sia lodato, il re!)
E via, via tutto quel candore, via pure la retina del velo nero e via, via quel bel pensiero evanescente e inconsistente che ri-pRende forma tra solchi scuri di due palpebre spalancate perse in quella perfetta visione a colori.
Senza peso, fluttui. Come fossi una bambola ruoti la testa, da una parte all'altra, i capelli oscillano in modo ossessivo e regolare come un turibolo davanti all'altare, ti incurvi, ti inarchi, vacilli, barcolli fino a perdere l’equilibrio, il senso della misura, il senso del pudore, il senso del dovere, il senso di colpa. I sensi, tutti.
La scena si apre con una bambolina leggera - la chiameremo numero Sessantuno - che passeggia lungo corso Garibaldi. Con quell'aria vagamente persa e gli occhi che brillano, numero Sessantuno cammina avanti e indietro cercando di concentrarsi su qualcosa, una qualsiasi, che non siano le lancette di un orologio che peraltro, oggi ha dimenticato a casa. C’è il sole e c’è il vento, e sente le guance che iniziano a pizzicare. Numero sessantuno tiene il telefono nella tasca della giacca, che c’è traffico e la gente in macchina crea incessanti e nevrotiche rapsodie con quei dannati clacson e chissà se così riuscirà mai a sentirla la suoneria, sia mai. Vibra la tasca, vibra il palmo della mano, vibra la vena che porta sangue al cervello: è il signor Acido.
Tutto si compie, laddove nulla si fa per impedirlo.
Vai qualche giorno fa, con i due che sfogliano il catalogo “profumi&balocchi” senza troppo entusiasmo, tra partite di calcio poco entusiasmanti e discussioni politiche chiassose e ridondanti. Questo sì, quello no. Sì no no no no, chissà. Acido e Sessantuno si parlano. Sessantuno che la sera abbassa il volume del televisore per non sentire, e si gira continuamente verso lo schermo muto per guardare. Non ascolta e guarda le immagini che si muovono veloci. Così apre una pagina in rete, e poi un’altra per distrarsi, ma vede la prima che lampeggia e ammicca e si ferma a fissarla. Non legge e guarda immagini e parole che sfarfallano come luci a neon. Guarda con quella svogliata noncuranza di chi passeggia annoiato e guarda vetrine di negozi di cui non ricorda il nome. Guarda annoiata altri, che annoiati vedono lei, annoiata, che guarda loro mentre guardano lei in un rimando infinito di immagini vuote. Sessantuno è fuori dalle scene da un tempo che ora le pare infinito. Innaturale. Sessantuno pensa che avrebbe bisogno di molta pratica, che dovrebbe impegnarsi di più, che dovrebbe fare un po’ la brava bimba carina e lasciarsi andare. Certo che invece si annoia da morire a guardare queste vetrine virtuali, si annoia a restarsene in vetrina in attesa di un non ben precisato coupe de theatre. Che diventi un bel film. Che la salvi da tutte le storie del suo passato.
Il giorno rivela al giorno il Caso. La notte mostra alla notte il capriccio.
Venerdì sera, ritardo, pioggia, parcheggio occupato, un ombrello striminzito in mano e spalle dritte e strette a sostenere lo spettacolo.
Ho pure sgomitato per esserci, echeccavolo, ne vale la pena. Sembra una cena come altre, venerdì sera in centro, il turno terminato da poco – è già tardi - di corsa a casa per l’ultima incipriata al naso. Se sembro eterea e rarefatta, sì, così va bene. Inizio a farneticare a voce alta, in bagno, da sola, e la cosa inizia a preoccuparmi. Oltretutto, penso: tocca pure prendere la macchina, nemmeno potrò affogare i pensieri e stordirli nell'alcol, sia mai. Ho sgomitato per esserci stasera, sorridi suvvia, ne varrà la pena.
Non so molto del programma della serata, qualcuno me l’ha venduto come un evento esclusivo e ho come l’impressione di dover mostrare gratitudine e notevole entusiasmo. Ma poi mi distraggo un secondo e d’istinto rispondo che non posso fare tardi senza aggiungere esplicite motivazioni (urge aggiornamento database).
Si va in scena.
Ciao amici, baci e abbracci, smack.
Si sa che in queste occasioni finto informali bisogna essere brillanti, fichi, con la battuta pronta al momento giusto, il bicchiere in mano e un bel sorriso spiaccicato sulla faccia. Sempre. Che livellare le labbra equivale a beccarsi una nomination e poi si rischia l’eliminazione (o peggio, autoesclusione). Devo divertirmi e soprattutto, cosa più importante, darlo a vedere con il dovuto rispetto. Insomma, è pur sempre un privilegio, no? Ebbene, se mi impegno sono piuttosto brava: basta un poco di preparazione psicofisica, due passate di mascara, e un rossetto a incorniciare un bel sorriso di circostanza.
Mi raccomando, tutti vestiti bene che c’è da far bella figura. Qui mica si scherza, è prevista selezione all'ingresso. Girati un po’ e fatti vedere, che cos'è che indossi? Tacco dodici di vernice. Scala a chiocciola insidiosa (pare la discesa agli inferi). Prova superata.