10 Giu rive
Rigirare tra le mani questo libro da giorni. E notti. Appena sgualcito, trovato per caso tra i libri usati e polverosi di una bancarella a Bologna, la carta ingiallita si porta addosso tutti i suoi ricordi, l’odore della polvere e delle notti passate insonni a lacerarsi tra le rime di Rive che sono come sabbia in cui sprofondare, sabbia che graffia, sabbia che segui e porta al mare. La ricerca ossessiva del contatto, fisico – non è il cuore, è questa carne che fa rumore – regalo o cauzione a deposito – è rimasto sul tavolo di casa, con un foglio di pensieri sparsi ripiegati all’interno, come un promemoria da riportare sulla terra, ferma. Quella delle emozioni che forse non ci appartengono totalmente. Non ancora.
Sulla seconda di copertina questa dedica:
“Ho trovato questo libro per caso, e con la stessa dolcezza e stupore di quel momento io lo regalo a te, affinché tu possa trovare nelle sfumature di queste parole tutto ciò che, mio malgrado, non sono riuscita a dirti. Buon compleanno… Con infinito affetto, Antonella”
Un fluire di sogni rapidi e pulsanti che fibrillano. Il tuo stupore e la tua dolcezza, miei, cara Antonella, la prima volta che mi raggiunsero questi versi, così densi e pregni, straripanti di immaginifiche metafore, senso e sensi. Intessuti, concatenati, conficcati a cercar forma con l’inchiostro nero su quel corpo che fa rumore. Vivo.
Un regalo bellissimo, il tuo libro. Il festeggiato, invece, poco sensibile al seme di una poesia che nutre e fa esplodere, lacera le membra e fa rinascere mille volte, in mille vite diverse.
Hai donato mille vite tra le righe a qualcuno che se l’è rivendute per due lire a una bancarella. Suppongo si sia preso a malapena un caffè, con quei soldi, e non gli sarà nemmeno andato di traverso, me lo immagino.
E quasi vedo le tue notti in penombra, ad amoreggiare con quel demone che ti s’agitava dentro, s’impigliava dentro l’attesa che lui tornasse, chiamasse, si abbandonasse alla furia di quel silenzio carnale.
Immagino come si sia dissolta poi l’attesa sulle rive di rime così violentemente impresse nella testa e incapaci di scivolare oltre i tuoi denti, tra la lingua, a battere appena contro il palato e poi via, fuori. Sputati come un nocciolo maledetto.
“ehi, mi senti. mi senti. sono vivo.”
Tu non lo sai, non lo puoi sapere. Quel giorno nel frammento s’è spostata l’aria e si son schiuse le labbra di qualcuno che non conosci, a recitare quei versi, a offrirvi dimora, sotto le ciglia. A dar voce alle voci, scritte sul corpo fino a che qualcuno, ignaro del come, del quando e persino del nome, potesse leggerli e rileggerli e sentirli addosso, cantandoli. Con stupore e dolcezza, sì. Mischiate a tutte quelle vite che sono scoppiate come semi tra le mani. Per caso.
Ciao Antonella. E grazie