18 Feb Della cura e la resa imminente (a mani tese)
Tremava. Sperava che iniziasse subito, qualunque cosa fosse tra loro, e al contempo amava quella fissità degli istanti, così vivi e densi di elettricità. Sentiva in sé una profonda inquietudine, e che fosse tensione, paura, o semplicemente voglia, lei tremava.
L’uomo la osservava, lento e misurato ne studiava le espressioni, i movimenti leggeri, il respiro trattenuto.
La luce soffusa e il rosso cupo delle pareti la avvolgevano, e lei si sentiva sprofondare in un’altra dimensione, lontana da tutto. Davanti a lui, lei tremava.
Tendeva appena lo sguardo. Lui glielo concesse, quel tanto che bastava perché arrivasse a quella poltroncina. La vide e capì, ma rimase in silenzio. Neppure un respiro più profondo. Quella rigida canna la attirava a sé, così cruda e crudele, cattiva e tentatrice.
Si era preparata: per la posizione, per la punizione, non sapeva, in realtà non poteva mai sapere.
– Allunga le mani verso di me.
– Ben tese quelle mani.
– Ferma.
– Non muoverti.
Tremava e sudava. Non muoverti, si ripeteva.
Gli occhi percepivano i movimenti lenti nella stanza. Quella canna che si sollevava, immobile per qualche istante. Socchiuse appena le palpebre, d’istinto, quasi servisse a sentire meno.
– Apri gli occhi.
Quel sibilo veloce, quasi un lampo. Credette che le mani le si fossero spezzate. Rimase senza fiato dopo quel primo colpo. Si sforzava di mantenere un certo contegno davanti a lui, ma sentì quelle lacrime traditrici rigarle il volto.
– Grazie, Padrone.
Un secondo colpo.
Balbettò un secondo grazie, poi prese a singhiozzare.
– Conta.
Chiuse le mani, le ritirò un poco, e gliele porse immediatamente. Piangeva e ad ogni colpo sentiva come una sorta di trasformazioni in lei. Piangeva, e in quel dolore trovava assurdamente una felicità che l’invadeva. Si abbandonava oltre quella naturale resistenza che porta a rifuggir il dolore. La carne dolente, le dita tremanti che debolmente esitavano. Rimaneva immobile e prima di ogni colpo, dopo ogni colpo cercava i suoi occhi. Dolce tormento quella sofferenza offerta. Non era per la resistenza: lui non la stava sfidando a resistere, ma piuttosto quella punizione era una liberazione e un superamento di un apparente limite che la mente, talvolta, le imponeva.
In piedi, la pelle nuda e il corpo che bruciava.
Non smetteva di piangere e dentro sé lo ringraziava di non essersi fermato, di aver continuato a punirla come le era dovuto, e farle sentire, in quel modo, il suo valore.
Dentro di sé, sorrideva grata.
Per l’uomo tutto era evidente, non le diede tregua.
Accovacciata, le cosce che sfiorano i talloni, e le braccia dietro la schiena, tesa verso lui, accogliente e fiera. I muscoli tesi a trattenere a lungo, più a lungo possibile quella posizione, e ancora tendere verso l’esterno.
Immobile.
Solo pochi secondi e il respiro si fece più veloce. Sentiva i polmoni espandersi rapidi nella mente. Mantenendo il controllo, per quel poco che le riusciva, ancora scossa da quei colpi.
Lui le parlava, spiegandole ciò che sarebbe successo, e il tempo scorreva. Apparentemente fermo, scorreva lento e carico di tensione. Non saprebbe dire quanti minuti trascorsero. Le parvero ore. I muscoli rigidi e provati la fecero vacillare sui tacchi e Lui puntò la bacchetta sulla spalla destra prima, e sull’altra poi, per raddrizzarla, riportandola alla posizione iniziale.
Silenzio.
Tremava e trattenne a lungo il respiro, perché aveva persino voglia di piangere tanto dolevano le gambe, le spalle, la schiena. Le mani.
Lui si alzò. Davanti a lei, le fece respirare il suo odore. Sollevò appena il piede e si insinuò tra le sue cosce forzatamente spalancate. Si lasciava accarezzare e avvampò percependo quella voglia liquefarsi inequivocabilmente.
Le parve di vederlo sorridere, eppure la guardava serio.
Sospirò e socchiuse le labbra. La bocca le si riempiva di saliva.
Era una muta offerta.
In lei, per lui, tutto era evidente, ogni cosa era richiesta.
Le accarezzò il viso e le afferrò i capelli. Attirò la sua testa al suo ventre, la guidava e la riempiva per poi allontanarla bruscamente. Lei barcollante lo supplicava con lo sguardo, i suoi occhi brillavano di desiderio febbrile. La bocca aperta e il volto trasfigurato. Lo attendeva, fiera di quel bisogno animale che la tratteneva, avida e impaziente, ai suoi piedi. Lo sentì di nuovo scivolare tra le labbra, come caldo ventre lo accolse.
Lo trattenne in sé, scivolò sul palato e lo sentì gonfiarsi ancora -completamente riempita- spalancò la bocca. Era nella sua gola.
Un lampo di eccitata paura, come ogni volta che lui le rubava il respiro e lo gestiva a suo piacimento. La stretta si fece più forte, serrata, sentì di non aver scampo nelle sue mani, si lasciò andare. Lacrime dagli occhi bagnavano quel viso sporco di umori e trucco colato.
L’uomo godeva della carezza di quella bocca docile e ardente, totalmente complice e sua, lei gemeva e godeva di quell’ offerta. Le disse qualcosa, persa in quel vortice di eccitazione e non rispose, non capì. Era solo sensi accesi (tutto il resto intorno era tutto sfumato).
Un colpo secco le fece rovesciare il viso. Ansante e incredula lo guardò smarrita.
La sua mano accarezzò il ventre tremante, scostò il tessuto leggero dello slip. Voglia. voglia. voglia. Amore liquido. La sentì contrarsi, chiedere, supplicare, mentre non smetteva di prendere la sua bocca.
Chiuse gli occhi: lo sentiva in gola quel sapore così prezioso.
– Guardami.
Leccava e succhiava avida, e alzando la testa nuovamente perse l’equilibrio. La posizione imposta a lungo mantenuta divenne quasi insopportabile, ma si sforzò ostinatamente di resistere, e resistere anche a quel piacere che le montava dentro. Odiò il proprio corpo, debole, che si ribellava per poi cedere. Lui impassibile la fissava e attendeva la sua imminente resa.
– Ora alzati e fai un passo indietro.
– Voltati.
– Avvinati alla scrivania.
Lei capì, e voltandosi, sorrise.