A un certo punto parve tutto chiaro, chiaro e nitido. Come si sta bene qui – pensò. Pareva tutto diverso, ma sapeva bene che si trattava solo di una percezione, che nulla era mutato in realtà, solo il suo modo di vedere le cose. Quasi che le avessero cambiato la lente o la rètina, e il suo sguardo riuscisse a percepire le cose in un modo completamente nuovo e inaspettato. I muscoli si muovevano fluidi, non pareva esserci nessun ostacolo, nessun punto oscuro, tutto era visibile e riconoscibile. La mano dell’uomo era forte, la stretta salda, rassicurante, e lì si sentiva protetta, sicura, felicemente abbandonata al suo destino. Vedeva il tragitto davanti a sé e non aveva più paura. Le immagini risultavano così vivide, colorate e ingrandite a tal punto, che pareva di camminare attraverso lo schermo di un cinema all’aperto. A suo modo sorrideva, e quando con la coda dell’occhio coglieva i suoi passi, la sua andatura, era pervasa da una crescente euforia. Una giravolta, e poi un’altra. Letteralmente volteggiava. Non aveva più peso. Era parte dell’acqua, della terra, dell’aria. Era questa la sensazione della felicità? Era così che ci si sente quando si trova l’equilibrio, il momento perfetto, quando tutto pare avere un senso, quando tutto è lì, sotto i tuoi occhi, e prosegui al suo fianco e nemmeno importa più dov’è che state andando? Pensò che sì, è esattamente quello, e riprese a volteggiare e ridere e sentirsi piena di vita, con tutta una nuova vita davanti a sé. Vita piena di vita e possibilità.
E' con un bacio che mi risveglia, pesante e fragile. Io dormo ormai da mille anni, tra paure e gioiose allucinazioni vestite di miraggi, e ancora non apro gli occhi.
Non so dove mi trovo oggi e neppure chi sono. Apri la finestra, fa' entrare poca luce, e io mi lamento. Bella addormentata intorpidita, in questo involucro sintetico che mi somiglia in modo impressionante, vesto sorrisi nuovi a camuffare vecchie storie già sentite. Da uno sbadiglio distratto si aprono delle sottili lacerazioni, così sottili che non si vedono, ma lasciano scivolare parole e immagini a lungo celate in uno sguardo impenetrabile.
Ricordi? giravi intorno a me come un fuso paziente, avvolgevi fili e parole rotonde, avviluppati in un moto perpetuo, noi, dipendenti l'uno dall'altra. Riflessa nel tuo sguardo vedevo solo la bellezza di una poesia ossessiva e ammaliatrice farsi danza, continua incessante ripetitiva compulsiva fino a diventare vertigine. In preda a una sorta di consapevole allucinazione un giorno hai detto vola(o almeno così mi era parso). Senza sapere dove andare ho aperto le braccia e mi sono lanciata in cielo (bella la sensazione del vento addosso) ho accumulato parole e fatti e sensazioni. Alcune le ho conservate come reliquie velenose da ostentare, di tanto in tanto, quando la pelle sembra abbastanza resistente e allora incidi quasi distrattamente, con quel fuso. Quel tanto che basta per far penetrare di nuovo qualche goccia dell'agognato veleno. Solo un poco, sentirlo intossicare appena, sentire ancora le vertigini e poi la nausea. Il panico preannunciato da gustare quasi immediatamente. A scoprirmi avida. (Lo faccio da così tanto ormai che è diventato un automatismo) Fiera della mia tossicodipendenza, abbandono ogni responsabilità e mi lascio condurre verso destinazioni che non conosco. Non mi interessa scoprirlo, preferisco stordirmi come se fosse vita e restare ferma qui. In attesa. C'è sempre qualcuno disposto a indicare la strada, anche quando non sa di che diavolo stai parlando e non ha idea di dove tu voglia andare, ma tanto da qualche parte ti porterà, tutt'al più ci sarà qualcun altro poi, a dare nuove indicazioni.